Platone è conosciuto al di fuori dell’ambiente filosofico soprattutto per il concetto di ‘Amore platonico’, ovvero quel tipo di relazione in cui spendi tantissimi soldi per portare a cena e al cinema il partner ma alla fine non ci cavi un ragno dal buco. Ma è importante notare che questo concetto non è presente in nessun punto della teoria platonica: probabilmente la sua origine è da ricercarsi molto più avanti, nel Medioevo, quando Dante andava vantandosi boriosamente con gli amici perché Beatrice, a messa, l’aveva guardato. Ma quella che ci interessa esplorare oggi è la sua Teoria delle Idee. L’idea delle Idee viene a Platone quando riflette sulla scienza: se la scienza è vera scienza deve essere esatta, altrimenti faremmo meglio a trascorrere il tempo in attività più divertenti, quali giocare a palla o contare quante volte hanno detto la parola ‘Crisi’ in televisione dal 2008 a oggi. Se la scienza è esatta dunque, i suoi concetti devono riferirsi a degli oggetti stabili, immutabili. Prendiamo ad esempio il ‘metro’: quanto è lungo un metro’ Sembra una domanda stupida, ma provate a rispondere: un metro è lungo’ un metro. Per capire quanto è lungo un metro fino al 1960 dovevamo riferirci a una sbarra di platino ben precisa che si trovava a Parigi; ecco, quello era l’oggetto stabile, immutabile, che permetteva a noi di parlare di ‘metri’ con una certa precisione: quella è l’Idea del metro. Ma mentre l’Idea è immutabile e perfetta, le cose con cui abbiamo continuamente a che fare sono invece imperfette: mai una volta che le cose ci vadano bene.
Per Platone le Idee stanno nell’Iperuranio, una sorta di paradiso situato abbastanza fuori mano. Le Idee sono il modello, lo stampino potremmo dire, delle cose di questo mondo: nel nostro mondo noi vediamo tanti tipi di cavalli, piccoli, grandi, neri, bianchi, a pois; a tenere insieme tutti questi cavalli c’è l’Idea di Cavallo. Supponiamo di incontrare un castelbuonese qualunque in Piazzetta: il castelbuonese qualunque non sarà perfetto; può darsi che abbia problemi di digestione, di sciatica, può darsi che sia pure un po’ supponente. Ma se il castelbuonese è imperfetto, da qualche parte, là, nell’Iperuranio, risiede fulgida e perfetta la Castelbuonesità. La Castelbuonesità è l’Idea, il modello unico e perfetto delle copie, i castelbuonesi molteplici e imperfetti di questo mondo. Anche se le copie che passeggiano supra u ponti (copie, non coppie) sono chiuse e provincialiste, partecipano della Castelbuonesità immutabile, che li fa tendere verso l’universalità, l’apertura al mondo esterno, l’eccellenza. Ma in cosa consista la Castelbuonesità non lo si è ancora capito con certezza. Alfredo Mario La Grua nel suo ‘Polittico Castelbuonese” così la descrive:
La ‘castelbuonesità’ esiste ed è probabilmente il prodotto sociale e culturale di una condizione ambientale, di un ‘complesso di superiorità’ che fa capo all’orgoglio di appartenere ad una comunità concentrata, per secoli rimasta autonoma ed autosufficiente, e perciò preservata da processi di ‘contaminazione’ e da spinte evolutive esogene, non sofferte e maturate. (Alfredo Mario La Grua, Polittico Castelbuonese, Ed. Le Madonie, 1983)
In pratica quando sentite parlare di Castelbuonesità il castelbuonese si sta vantando. Non che la cosa gli riesca difficile. Il castelbuonese in questo caso è – nonostante le pretese di distinzione – identico a tutti i meridionali d’Italia, se non del mondo; quando è a casa sua, nel suo paesello, si lamenta di continuo: del tempo, dei suoi paesani, dei governanti. Quando invece è in presenza di un forestiero oppure è fuori, in trasferta, la sua Castelbuono diventa improvvisamente il paese di Bengodi; tutto ciò che è castelbuonese deve risplendere: c’è la corsa su strada più antica d’Italia, no, d’Europa, no, del Mondo, no, d’Europa. Persino in una questione triviale come la raccolta della spazzatura riesce ad essere unico: ci sono gli asinelli che trasportano la munnizza, ma se sei uno dei tanti che tornano a Castelbuono solo nel fine settimana fai prima a portarti la spazzatura a Palermo. Qualunque evento è grandioso, qualunque manifestazione dozzinale diventa chic. Il castelbuonese è veramente convinto che il centro del mondo sia situato da qualche parte tra la fontana d’a chiazza ‘nnintra e il Museo Francesco Minà Palumbo.
Un cinico potrebbe avanzare l’obiezione che mosse Antistene: ‘O Platone, io li vedo i castelbuonesi, li vedo in piazzetta e supra u ponti, ma non riesco proprio a vedere la Castelbuonesità!’. Povero Antistene, si vede che non hai passeggiato abbastanza lungo il corso. Il paesano (A Palermo ‘paesano‘ ha un’accezione negativa, dicendosi di persona vagamente rozza e incivile, ma a Castelbuono indica semplicemente il Castelbuonese) è sempre e continuamente conscio della propria particolarità, quasi predestinazione; il paesano è nobile d’animo, e nobile si sente, d’antico lignaggio. Ovunque si trovi, con chiunque parli, riferendosi a se stesso e al proprio paese utilizzerà solamente termini altisonanti, grandiosi, epocali. Se parli con un castelbuonese, è capace di dirti che i castelbuonesi hanno inventato il panettone, e l’hanno pure sparato nello spazio.