Una delle cose che mi spaventa di più da quando, ormai quasi 10 anni fa, ho creato un account Google sono le informazioni che possiede e l’uso che ne fa.
Google è una delle aziende più famose, importanti e ricche al mondo, ha le sede centrale a Mountain View in California, e la sede europea a Dublino ed ha anche un soprannome: Big G. Da più di dieci anni è la parola che centinaia di milioni di utenti (forse miliardi) vedono appena aprono una pagine di un qualsiasi browser internet.
Google gestisce la maggior parte di account e-mail presenti al mondo, con il dominio “@gmail.com”, la maggior parte di video caricati in rete, con in portale YouTube, ha fotografato e creato le mappe di praticamente il pianeta per intero, con Google Maps e ha anche il numero più grande al mondo di sistemi operativi per smartphone, con Andoid.
Tante di queste cose che ho elencato (che di certo non esauriscono l’infinità di prodotti Google) sono gratuite, quasi gratuite. Ma come guadagna allora? E come ha fatto a diventare un colosso supermiliardario? Semplice: vende le nostre informazioni a fini pubblicitari.
Il successo di Google è nato da un algoritmo sviluppato da due studenti americani che era enormemente più efficace nel dare la risposta cercata, rispetto a qualsiasi altro motore di ricerca allora online. La precisione nella ricerca, l’avere esattamente quello che si chiede è la competenza chiave di Big G, sfruttata adesso per identificare un utente alla perfezione, attraverso i suoi gusti, le sue scelte, i suoi acquisti, le parole che digita in una mail o quando scrive su uno smartphone.
Ogni utente, quindi anche io, corrisponde ad un identikit che in questo modo è vendibile più a caro prezzo agli inserzionisti pubblicitari. Per fare un esempio facile, la televisione trasmette le pubblicità genericamente, sia che di fronte vi sia un bambino, che un anziano, o una coppia di sposini. Se lo spot pubblicitario riguarda la nuova collezione di gioielli o di macchine telecomandate, può interessare o meno chi lo guarda. Invece Google mostra a me la pubblicità che interessa me, perché sa quali sono le mie passioni, le mia abitudini, le mie ricerche e ad un altro utente, che ad esempio è appassionato di pesca, invece mostra la pubblicità delle canne da pesca e o della fiera dove si espongono i nuovi strumenti per pescare.
In qualche modo però possiamo tutelarci. Esiste una pagina, Ads Setting, dove vediamo quello che Google ha imparato di noi, preferenze, sesso, età, interessi nel corso degli anni, e possiamo annullare e modificare queste impostazioni a piacimento. Esiste anche la pagina Autorizzazioni Account dove poter scegliere quali dispositivi, applicazioni e accessi web possono avere accesso ai tuoi dati. E’ importante che ognuno di noi entri ogni tanto e modifichi queste impostazioni, per evitare che chiunque possa sapere quello che fa, dove va e cosa gli piace, che oltre ad essere abbastanza invadente e imbarazzante e anche piuttosto inquietante.
Con questo è tutto, al prossimo giovedì.
“Oltre Fiumara. Rubrica settimanale che apre uno spiraglio tra le cinta murarie del borgo, per far passare qualche notizia fuori dal comune.”