“Giovanni Lo Porto. Eroe dei nostri tempi”

Giovanni Lo Porto era un cooperante italiano, palermitano, morto in Pakistan lo scorso gennaio. Di lui non si sono avute più notizie dal 19 gennaio 2012, giorno del suo rapimento. Poi il Presidente della Repubblica Mattarella, nel suo discorso di insediamento, lo aveva ricordato, impegnandosi nell’obiettivo di ritrovarlo, e aveva ridato speranza ai familiari. Ed era già morto, anche quando il presidente lo citava. Era morto il 15 gennaio 2015, sotto il fuoco amico. Un drone telecomandato americano lo ha colpito per sbaglio, in circostanze ancora da chiarire, mentre era detenuto nel suo Pakistan, rapito mentre lavorava come cooperante.

Lo Porto, 39 anni, era uno in gamba, un cooperante professionista con le idee chiare. Aveva preso una laurea in Regno Unito e un master in Giappone e stava lavorando nel Punjab, al confine tra Afghanistan e Pakistan, per conto della ONG tedesca Welt Hunter Hilfe, prima aveva lavorato ad Haiti e in Repubblica Centro Africana.

A distanza di tempo, il Corriere della Sera ha ritrovato una sua lettera scritta a Beppe Severgnini, per la rubrica Italians. Allora Giovanni Lo Porto aveva 30 anni e non sapeva cosa lo aspettava. E’ di estrema importanza leggere cosa scriveva a proposito del popolo pakistano e dei pregiudizi sbagliati creati sulle culture e sui popoli, generalizzando i comportamenti negativi di pochi.

Mi pare il miglior omaggio che possiamo rendergli. Dare voce alle sue idee, farlo parlare e in qualche modo continuare a vivere.

Caro Beppe,
ho visitato tre settimane fa Srinigar, la capitale turistica del Kashmir indiano e mi sono innamorato della gente, della cultura e dei paesaggi di quella regione. Là mi sono convinto anche di visitare il Pakistan e in meno di due giorni mi trovavo a Delhi con il mio bel visto pachistano e tutto eccitato per la nuova esperienza. Nonostante i vari avvertimenti di alcuni amici di non andare, io mi sono innamorato della gente del Pakistan. Ho trovato qui le persone più ospitali e amichevoli di tutta l’Asia. Per la prima volta in un anno qualcuno si offriva di pagare a me e alla mia compagna di viaggio il tè, il biglietto del bus oppure la colazione. Pensare di etichettare come terroristi 150 milioni di persone per colpa di alcuni è ridicolo, un po’ come etichettare tutti i siciliani mafiosi (io sono di Palermo e mi capita spesso di sentire un’affermazione del genere).

Adesso mi trovo nella stupenda valle di Hunza nel nord del Pakistan, mi ritengo più che fortunato nell’essermi trovato nel posto giusto al momento giusto; non lontano, a 300 chilometri, ci sono circa 40 mila persone che sono morte in mezza giornata. Qui siamo una trentina di turisti bloccati in una cittadina aspettando che la strada per Islamabad venga riaperta. Nel frattempo, oltre alle belle passeggiate nella valle, passo il tempo anche visitando vari siti Internet per tenermi aggiornato sulla situazione. Leggo Italians quasi ogni giorno, e devo dire che mi ha stupito un poco nel non trovare dopo quattro giorni nessuna lettera di solidarietà per il popolo pachistano.

Finisce qui il numero odierno di OltreFiumara, a giovedì prossimo.