[repubblica.it] Le testimonianze sono sconvolgenti: “Avevo 13 anni, il capo mi disse che dovevo usare il machete: lo portavo ovunque”, le conversazioni intercettate dalla polizia raccontano la pianificazione sistematica della violenza e degli agguati. Una guerra per bande feroce: Barrio Milano – Ascesa e crollo delle gang latinoamericane di Lirio Abbate (con la regia di Gabriele Gravagna, prodotto da Magnolia per Sky), racconta in due puntate, il 9 settembre e il 16 alle 21.15 su Sky Atlantic e Sky TG24, il fenomeno delle pandillas. E’ il primo appuntamento della nuova stagione del Racconto del reale, e spiega come le bande di strada latinoamericane, presenti in vari paesi del mondo, dal 2005 al 2017 si siano diffuse anche a Milano. Gang che, armate di coltelli e machete, si sono impossessate di piazze e parchi, forti di una concezione tribale del potere. Rapinano e spacciano per autofinanziarsi, fratelli nelle sconfitte e nelle vittorie.
Per milioni di italiani realtà poco conosciute, di cui ci siamo accorti quando nel 2015 il capotreno di Trenord Carlo Di Napoli venne aggredito con un machete. La polizia, negli anni, ha fatto un grande lavoro di indagine. “Personalmente ho riscontrato la presenza di quattro bande” racconta Giorgio Rondinara, ispettore capo della Squadra mobile di Milano “I latin king, gli Ms13 (o Mara Salvatrucha), Barrio 18, Trinitario”, mentre il magistrato Adriano Scudieri racconta come “il contrasto tra queste bande sia quotidiano, controllano il territorio”.
La gang Barrio 18, una delle più pericolose, è nata a Los Angeles, dall’Honduras al Guatemala al Salvador si espande fino in Italia. Barrio Milano è costruito con i materiali della polizia, le intercettazioni, i video e le testimonianze. I giovani sono uniti, il capo comanda ma una ragazza stuprata dal Gato, capo di una banda, solo perché il fatello si è unito a un’altra gang, rompe l’equilibrio. Luca Cateni della comunità per adolescenti Arimo, spiega il meccanismo che spinge le pandillas a colpire. “Le bande esistono per mantenere il potere: nessuno può cedere, niente può fermarli, tutto questo sostenuto da un uso di alcol che permette di togliere il rapporto con la realtà, come se fossero in un’allucinazione. La scintilla può essere un capotreno che mi chiede un biglietto o una persona che mi garda male”.
Luca Ponzoni, avvocato di Carlo Di Napoli, il capotreno aggredito alla fermata di Villapizzone, ricostruisce l’agguato avvenuto l’11 giugno di tre anni fa, quando Di Napoli, 32 anni, in servizio da Rho a Milano Rogoredo, si accorge della presenza di un gruppo di ragazzi sudamericani. Sono le telecamere di sorveglianza a ricostruire quelle immagini spaventose. Si avvicina per controllare i biglietti; i giovani della gang MS13 avevano trascorso il pomeriggio a bere, sembra che scendano dal treno. Poi uno di loro rientra nel vagone e dà un colpo di machete al ferroviere. L’aggressione è così violenta da portare quasi all’amputazione del braccio. Le immagini registrano tutto, c’è una lunga scia di sangue sulla banchina. Gli aggressori sono in galera.
Carlo Di Napoli oggi si occupa di formazione. Per lui e la sua famiglia il percorso è stato dolorosissimo, lo choc, i tanti interventi chirurgici. Ha guardatro negli occhi i suoi aggressori, dice che hanno capito cosa hanno fatto. “Ognuno di noi è migliore della peggiore azione che ha potuto commettere” dice con grande umanità “Spero che questi ragazzi capiscano e non lo facciano mai più”.