Al caro direttore avevo prefigurato la fine di questa rubrica zoppicante, zittita da un lassismo dei cittadini – nazionali e locali – a mio avviso colpevole.
Il vissuto recente però mi ha portato a tornare sui miei passi, ritrovando il senso e l’utilità nel sottoporre a più ampio spettro riflessioni personali di possibile utilità comune. Ne discutevo poche settimane fa con amiche che hanno la buona sorte di vivere maggiormente la socialità del paese, e proprio ieri la telefonata con il direttore si è conclusa con lo stesso leitmotiv: c’è una cappa strana, in questi mesi, e quasi un timore diffuso a farne oggetto di approfondimento nei mezzi di informazione. Ma spiegherò più avanti.
A contribuire a questo clima infecondo e silente, secondo me, anche la spiacevole vicenda ai danni di un ragazzetto onesto e ricco di verve, a volte imperfetto e forse oltremodo curioso, ma di indole sana e col piglio raro del cronista locale: una bella e costosa querela, sembrerebbe, ad opera di un navigato politico del luogo. Conosco molto sommariamente le ragioni che possono aver indotto? “il dotto”, ma, per quanto inappuntabili e tese a ricompensare la lesa maestà (onestà, scusate) dell’uomo, rimane la pesantezza dell’atto e degli effetti e un fetido olezzo di severo ammonimento. L’effetto è scoraggiare il giornalismo in erba e indifeso del giovane, privo di ogni tutela e copertura economica per sorreggere il rischio di future “inchieste” (con esiti potenzialmente similari) che – per quanto grossolane, meritevoli di smentita o quant’altro – restano, a mio modesto parere, probabilmente da correggere ma ugualmente da incoraggiare.
Ed invece ci penserà due, tre, quattro volte il ragazzo prima di riferire le sue prossime indiscrezioni.
Il paese non ne ha guadagnato affatto, e neppure “il dotto”: il quale ha perso l’ennesima occasione per smentire l’allure da cattivo che lo precede.
La nebbia contemporanea è però principalmente frutto di un’altra sensazione, non nuova, antica anzi, che non si avvertiva oramai da decenni: la palpabile percezione dell’esistenza di un interlocutore divenuto “potente”, capace di risolvere e spianare, di lasciare intendere e persino di inserire.
Oltre il peso specifico del bisogno, e persino oltre il timore reverenziale dovuto al “potente”, c’è anche la professione del medesimo a dissuadere da azioni di pubblico dibattito sulle discutibili declinazioni e manifestazioni di questa potenza. La minaccia invisibile della scure navigata della legge, pronta a scagliarsi contro la parola proferita nei Suoi riguardi. E’ semplicemente una mia sensazione, forse indotta o alimentata dalla “querelle-querela” di cui sopra, tramite cui motivo la circostanza che “tutti sanno ma che nessuno parli” (specie per iscritto).
Aveva proprio ragione, allora, chi incitava i castelbuonesi ad un impeto di “liberazione” dalle logiche e dalle sudditanze nei confronti del sistema politico di turno… Ma, ahimè, lo capisco solo adesso. Sic!