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Preludio
Noi non ci saremo ritorna. Dopo un periodo di attenta e critica meditazione la rubrica più incoerente del panorama Ypsigrota si ripropone nella continua ricerca della propria identità sempre confusa tra le infinite occasioni che all’autore si presentano e l’imprescindibile vincolo alla città che, punto di partenza e di arrivo al medesimo tempo, deve sempre rappresentare un territorio di ricerca e sperimentazione sulle forme che l’esistere assume in un determinato complesso di spazi. Il mezzo si è rivelato infine nella “pubblicazione”, un frammento del passato evidentemente, una nostalgia del tempo mai vissuto del pamphlet occasionale pervicacemente ricostruito nell’epoca del web. Una continuazione ideale di quel libro che il caro vecchio protagonista della ormai conclusa fase di questa rubrica sfogliava di settimana in settimana alla ricerca di una Castelbuono mai esistita. Non è solo lo sfogliare delle pagine che ci ricollega a quanto scritto in questo anno. La Castelbuono raccontata sarà sempre un’eterotopia, un luogo-non luogo sospesa tra la favola, l’utopia e, perchè no, la distopia. Uno spazio per progetti e riflessioni sempre più legati alla realtà ma fermamente convinti che senza la leggerezza della fantasia e dell’invenzione non può esserci nessun riscontro concreto degno dell’aggettivo umano nel suo miglior significato. In questo anno è stato impossibile negare la parola all’Architettura, alla storia, alla letteratura e così via ecco perchè, oggi, la scelta di far prevalere il contenuto sul contenitore, tale era in principio il rapporto di testo e fotografia. Noi non ci saremo ritorna dunque, riaffermando la necessità della nostra assenza da un mondo immaginario di corrispondenze, idee e sogni che può tuttavia diventare reale attraverso la conoscenza, l’immaginazione e la costruzione.
Non al denaro non all’amore nè al cielo
Il primo volume del nuovo avvio conclude un percorso riunendo tutte le riflessioni precedenti e, a tale scopo, chiamando in causa due grandi Poeti della contemporaneità. Uno solo a dir la verità ha il compito di cantare otto storie tratte da altrettanti capolavori dell’altro e calate nella nostra realtà attraverso l’eterotopia somma della città dei morti, riflesso di quella dei vivi, immagine del passato e del futuro nonchè scrigno incredibile di tutte le storie, di tutti gli amori, di tutti i finali che possiamo immaginare o ricordare ed è proprio questo che fa di quel luogo la miglior parafrasi della scatola in cui vediamo per la prima volta gli spettri di Spoon River. Ma non è solo questo che ci parla di noi. Il potere della poesia è amplificato dagli occhi dei protagonisti, occhi conosciuti e sgranati sulla vita tutta, in cui il lettore si riflette, è forse questa la forza maggiore dei ritratti poichè nelle otto storie ognuno si identifica, ritrova il proprio dolore e le proprie emozioni. Forse intravede una salvezza, o più coerentemente una condanna. Non voglio raccontare altro, bastino le immagini a invitare a questo viaggio, ma era necessario concludere riunendo i fili intrecciati fino ad oggi in una delle conclusioni possibili affinchè si potesse ricominciare con lo sguardo lucido del Suonatore Jones magari, non al denaro non all’amore nè al cielo.
Ma questa è ancora un’altra storia …
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