Il 20° anniversario dell?uccisione di don Pino Puglisi che ricorre oggi porta con sé un elemento di gioia: la sua beatificazione proclamata il 25 giugno scorso nella splendida cornice del Foro Italico.
In questi anni la sua figura è uscita dalla discrezione e riservatezza in cui lui stesso amava vivere ed operare e la sua storia e la sua testimonianza sono divenute patrimonio della chiesa e del mondo. Il dato pù visibile e concreto del suo martirio è racchiuso nel continuo pellegrinaggio che tanti continuano a fare sulla sua tomba, posta momentaneamente nella cattedrale di Palermo.
Abbiamo voluto ricordare il suo impegno e le tappe che portarono al suo martirio con una testimone delle vicende di questo ventennio che ha accettato di parlare in questa circostanza, rompendo la riservatezza che la contraddistingue.
E? la dottoressa Mirella Agliastro, attuale Sostituto Procuratore al Tribunale di Palermo, che è stata giudice a latere del processo di secondo grado. In pratica è colei che applicò l?ergastolo agli assassini di Padre Puglisi e ed è colei che ha materialmente redatto le motivazioni della sentenza di condanna.
Con grande cordialità e altrettanto rigore ci spiega perché né lei né il giudice Vincenzo Oliveri, presidente della Corte di Assise, hanno preso parte in questi anni a manifestazioni pubbliche in ricordo di don Puglisi, ?come scelta di riserbo e riservatezza, convinti come siamo che i giudici devono parlare soltanto con i loro provvedimenti?.
Nel chiederle di ripercorrere le tappe salienti di quegli anni traspare la sua discreta soddisfazione per i risultati conseguiti con la ricostruzione storico-processuale del delitto ?che non ha mai subito smentite?, frutto indubbiamente del suo metodo di lavoro e della personale sensibilità esaltata in quell?importante avvenimento.
Prima di parlare della sentenza ci tiene a contestualizzare il clima nel quale operò insieme a tanti colleghi in quegli anni.
?L?assassino di Padre Puglisi ? inizia ? si colloca accanto ad altri delitti che hanno ferito e scosso profondamente la coscienza collettiva e faccio riferimento innanzitutto ma non solo all?uccisione del generale Dalla Chiesa e di Libero Grassi, persone che volevano solo svolgere il loro mestiere, il loro compito nella legalità: affinità che colgo perché sono stati, nel momento del loro tragico destino, uomini soli, materialmente e moralmente?.
Le chiediamo allora di essere più precisa.
?Preciso subito- risponde ? . Questi sono tra i delitti più dolorosi, sono delitti che sanguinano ancora, se di una gerarchia si può parlare nel rosario degli assassini di mafia di questa città. E, soprattutto, queste tre figure, assieme a tante altre che nella memoria ricordiamo, agivano facendo qualcosa che era ritenuto intollerabile dai mafiosi della città; volevano essere uomini liberi e rendere libera la collettività: i cittadini, gli operatori economici, i parrocchiani della diocesi, soprattutto i bambini ed i giovani che padre Puglisi voleva sottrarre alla strada ed agli allettamenti della mafia?. E passa subito a delineare nel dettaglio l?azione del parroco di Brancaccio: ?In particolare Padre Puglisi ? racconta ? voleva restituire dignità di uomini liberi, libertà di scelta e consapevolezza ai singoli, dare un riconoscimento identitario alle persone che frequentavano la sua chiesa, il suo quartiere, la sua comunità di fedeli. Don Pino aveva scelto non solo di ?ricostruire? il sentimento religioso e spirituale dei suoi fedeli, ma anche di schierarsi, concretamente, senza veli di ambiguità e complici silenzi, dalla parte di deboli ed emarginati, di appoggiare senza riserve i progetti di riscatto provenienti da cittadini onesti, che coglievano alla radice l?ingiustizia della propria emarginazione e intendevano cambiare il volto del quartiere, desiderosi di renderlo più accettabile, accogliente e vivibile?.
Inizia a ricercare qualche documento sul tavolo, ma si ferma subito, la sua memoria è lucida e la sua passione immutata.
?In questo contesto di consapevolezza personale, tensione morale e adesione a fortissimi valori civili e cristiani, ? prosegue -, negli anni 1997/1998 venne assegnato alla II Sezione della C.A. di Palermo il processo contro gli esecutori materiali del barbaro assassinio di don Pino Puglisi; la componente togata della sezione predetta cominciò a ricostruire probatoriamente la tragica vicenda. Cominciammo ad esaminare gli atti, i rilievi fotografici, i verbali dei testimoni, dei sequestri, e la fredda relazione autoptica. Ma l?anima di chi lesse quelle carte processuali, cioè la mia, rimase trafitta, attraversata dal dolore dell?ingiustizia che rendeva inaccettabile questo delitto perché profondamente ingiusto?.
Nel rigore della ricostruzione comincia emerge l?emozione e la commozione di quei giorni che continua fino ad oggi.
?E se ciascuno di noi ha un proprio Pantheon personale nella sua interiorità, sicuramente un posto particolare merita la morte di Padre Puglisi, del quale avresti voluto che i fotogrammi girassero all?indietro e narrassero una morte diversa, molto più tardi, non violenta, più lontana: la morte dei giusti! Pensate quante cose concrete e bellissime avrebbe fatto in questi venti anni Padre Puglisi?.
Ma ecco che il rigore del giudice riprendere il sopravvento e torna ad emergere l?animus giuridico.
?Lo svolgimento del dibattimento ? incalza ? a carico degli assassini di Padre Puglisi era stato preceduto dall?attività istruttoria e di indagine, di assoluto valore professionale, svolta dal dott. Luigi Patronaggio che aveva curato le indagini preliminari e l?istruzione dibattimentale. Mi consenta di leggere uno stralcio dell?esposizione introduttiva: ?I fatti che riferiremo e le prove che articoleremo riguardano un fatto nefando: l?assassinio di Don Giuseppe Puglisi, parroco della Chiesa di San Gaetano nel quartiere di Brancaccio. Noi proveremo che questo omicidio fu l?effetto di una scelta criminale, intimidatoria, perseguita da esponenti dell?organizzazione denominata ?Cosa Nostra?; ricostruiremo le circostanze che portarono alla morte di un uomo a causa del suo impegno evangelico e sociale; attraverseremo il fondo più oscuro, più abietto del delitto e avremo modo di constatare in quali misere condizioni di assoggettamento, di povertà, di omertà soggiacciono interi quartieri periferici della città di Palermo?.
E chiediamo allora di dirci era per lei don Pino e che idea si e fatta dell?uomo e del sacerdote.
Risponde subito con grande convinzione e partecipazione: ?Di Don Pino Puglisi ? afferma ? nel suo quotidiano, coraggioso apostolato, emerge la figura di un prete di trincea, che infaticabilmente operava sul territorio, ?fuori dall?ombra del campanile?, come con felice espressione ha affermato un suo collaboratore del tempo. La sua opera aveva finito per rappresentare una insidia ed una spina nel fianco del gruppo criminale che dominava il territorio, perché costituiva un elemento di sovversione nel contesto dell?ordine mafioso (lo dice il pentito Drago). Tutte le opere ed iniziative che avevano fatto capo al sacerdote e che sono state indicate minuziosamente dai suoi collaboratori e persone a lui vicine, fanno corona alla figura di un religioso austero e rigoroso, non contemplativo, ma calato pienamente nel sociale, immerso nella difficile realtà di quartiere, lucido e disincantato, ma non per questo amaro e disilluso, arreso o fiaccato dalle minacce, intimidazioni che ebbe a subire?.
Qual era il ruolo che svolgeva nella chiesa palermitana?
?Definito esponente del clero siciliano più avanzato e coraggioso, era divenuto, al pari di altri preti di frontiera impegnati nelle attività sociali, un sacerdote di trincea che aveva trasformato la sua chiesa in una prima linea nella lotta alla mafia: esprimeva l?immagine di un clero isolano non più timido ed impacciato nelle prese di posizione contro il potere mafioso, bensì risoluto e battagliero nella coerenza evangelica e nella testimonianza di fede, ed impavido nel mobilitare la comunità e favorire il risveglio delle coscienze.
Più volte è stato fatto ricorso alla definizione di Padre Puglisi come manager di Cristo. Perché?
?Nella sentenza è messo in luce che lo stesso dedicava particolare cura al recupero dei bambini del quartiere, aveva istituito corsi di scuola elementare e scuola media, maturando l?idea di creare un centro di accoglienza. Aveva dato il suo contributo al comitato intercondominiale di via Azzolino Hazon, per tutte le iniziative sociali che venivano portate avanti da persone che si erano associate per migliorare la qualità della vita del quartiere. La sua vasta attività sociale è oggi conosciuta da tutti?.
Oggi, dopo vent?anni c?è un grande interesse per la figura del beato Puglisi. Cosa ha rappresentato e rappresenterà in futuro nella Chiesa e per la società civile?
?Don Pino ? aggiunge ? è l?espressione dell?incompatibilità assoluta tra la mafia e il Vangelo. Il riconoscimento del martirio avvenuto ?in odio alla fede? sancisce questo principio. Don Pino non ha scritto molto. Per questo mi lasci concludere con un suo intervento tenuto a Trento, due anni prima di morire. Il testo è di un?agghiacciante profezia: <
Tornano alla mente le parole di Albert Camus: ?Ho capito che non era sufficiente denunciare l?ingiustizia, bisognava dare la vita per combatterla?.
Questo è accaduto a don Pino Puglisi e di questo si farà memoria questa sera ricordandolo alle ore 18 nella messa che sarà celebrata proprio in Piazza Anita Garibaldi, luogo della sua uccisione.