La scienza sembra quella cosa che viene invocata quando vuoi averla vinta immediatamente sull?avversario, come la schiacciata nel tennis. Metti che nasca una discussione su cosa convenga fare nel caso ci trovassimo a piedi senza ombrello mentre piove a dirotto: l?interlocutore ci dice: ?Conviene correre, ovviamente! Arrivi prima e ti bagni di meno!?. A quel punto tu, con molta nonchalance, tiri fuori la seguente frase: ?Una ricerca scientifica condotta all?Istituto di Fisica dell?Università di Udine ha dimostrato che correre o camminare sotto la pioggia non fa differenza, ci si bagna allo stesso modo.? Sbaaamm! L?interlocutore rimane inebetito, incredulo, di fronte alla schiacciata dialettica a cui l?avete sottoposto. Ma è davvero questa la scienza? e soprattutto: chi paga i ricercatori che portano avanti tali ineffabili ricerche?
Un grosso passo avanti nella definizione del metodo scientifico la si è avuta con Karl Popper, filosofo, matematico e fisico, noto soprattutto per aver dato il nome a delle sostanze stupefacenti assunte per inalazione. (Una delle affermazioni contenute nella precedente proposizione è falsa). Popper criticava una posizione fondamentale della teoria egemone al suo tempo: il principio di verificazione. Cos?è essenzialmente la scienza? Non è altro che un insieme di proposizioni, ovvero di frasi composte da parole legate tra di loro a formare un senso compiuto. La scienza è quindi una serie di parole, ma queste parole devono avere un rapporto con la realtà: per rappresentare la realtà poniamo di avere un pollaio. All?interno del pollaio ci sono quattro galline, tre nere e una bianca. Un esimio scienziato viene inviato dalla sua università per scoprire quante galline bianche e quante nere ci sono nel pollaio. Dopo semestri e semestri di faticosa attività di ricerca, durante la quale trascurerà l?attività didattica, il nostro scienziato tirerà fuori gli esiti della sua ricerca scientifica, opportunamente validata, che consiste nella seguente proposizione: ?Nel pollaio ci sono quattro galline, tre nere e una bianca?.
Sembra una perdita di tempo, ma adesso disponiamo di due cose da potere confrontare: da un lato la realtà, dall?altro la proposizione che la descrive. Per il principio di verificazione, una ricerca scientifica è valida solo se è possibile proprio fare questo confronto tra la proposizione e la realtà. Fino a quando restiamo in ambiti di galline e pollai, va tutto bene. Ma poniamo di dover decidere della validità scientifica della frase seguente: ?L?atomo di idrogeno ha un nucleo con un protone e ha un solo elettrone?: e chi cavolo lo ha visto mai un atomo di idrogeno? Ma c?è un altro problema essenziale: secondo Popper la realtà, l?esperienza, non può mai farci capire se una proposizione che la riguarda è vera, ma può solo dimostrarci che è falsa. Questo è il principio di falsificabilità, e per renderlo più chiaro faremo un altro esempio da pollaio.
Poniamo di avere un bel tacchino che razzola. È Marzo, e a mezzogiorno il contadino apre la porta del pollaio e gli dà da mangiare. Passano i giorni, e il tacchino induttivista comincia a formarsi una sua teoria: ?Uhm, io ho la sensazione che ogni volta che il contadino apre la porta, io trovo da mangiare. Ci sarà un legame?. Ogni giorno il tacchino verifica la sua teoria: confronta la proposizione ?Se il contadino apre la porta, allora mi arriva da mangiare? con la realtà, e tutto sembra coincidere. Secondo il principio di verificazione, la teoria funziona. Verso la fine di Dicembre il nostro Tacchino Induttivista è contento: si è appena aperta la porta, e secondo la sua teoria gli arriverà da mangiare. Peccato che quel giorno il contadino sia entrato con un coltello, lo scanna e comincia a preparare il cenone di Natale. La teoria non funziona più: una miriade di giorni in cui la proposizione sembrava vera sono stati contraddetti da un unico, brutto, giorno.
Per Popper quindi una teoria, che consiste, ricordiamolo, in una serie di proposizioni, può essere definita ?scientifica? solo se è possibile, in qualche modo, falsificarla, anche in linea di principio. Non vale a nulla accumulare dati e dati per cercare di dimostrare la propria teoria: quello che deve fare lo scienziato è cercare invece le falle possibili, i punti in cui la teoria è manchevole e può cedere.
Al giorno d?oggi, con la possente democraticità del Web, chiunque può mettere su un sito e proclamare di aver fatto delle ricerche, delle scoperte scientifiche. Tra quelli che sostengono seriamente che la terra sia piatta, quelli che argomentano con mole di dati che c?è un ordine mondiale che fa scaricare nel cielo dagli aerei sostanze chimiche con l?obiettivo di sterminare la popolazione per motivi demografici, e quelli che tessono le lodi di palline che sostituirebbero definitivamente i detersivi, c?è molto materiale per gli amici psicologi. La maggior parte di questi cialtroni afferma che la comunità scientifica sia parte di un gigantesco complotto, che covi interessi occulti: un atteggiamento che è sempre stato presente nell?umanità, ma che in questo momento è arrivato a livelli stellari. Di fronte ad atteggiamenti del genere, mi viene da ricordare un argomento che il Papa emerito Benedetto XVI tirava sempre fuori le domeniche in cui non gli venivano invettive contro gli omosessuali: la critica del Relativismo. Certo non rapportato alla presunta verità assoluta della fede (campo spinoso), ma nei riguardi della Scienza. Il Relativismo implica che chiunque può proclamare una propria verità e agire di conseguenza: ma se si comincia a dubitare della scienza, del metodo scientifico, per inseguire varie teorie del complotto, si regredisce enormemente, si abbandona il solco creato dall?uomo per millenni, si torna all?età della pietra. Se volete un esempio di cosa succede quando ci si affida a teorie strampalate, chiedete al Tacchino Induttivista cosa ne pensa.