” questo riso è uno scherzo” da una battuta spontanea di un’amica nasce una riflessione su uno dei piatti tipici del carnevale castelbuonese: u risu ntaanu.
Un dolce strano, affascinante, dal sapore deciso. Un dolce che alla vista non sa di zucchero. Un inganno che si scopre con il palato.
Nel tempo tipico degli scherzi un cibo può diventare esso stesso uno scherzo? Potrebbe. Perché no.
Nel tempo del sovvertimento dell’ordine, del caos che si sprigiona per riformare un cosmos ordinato, può il cibo fare la sua parte? Sicuramente si.
L’alimentazione ha una valenza culturale talmente forte che è impensabile che sia affidata al caso. Cosa potrebbe nascondere, dunque, u risu ntaanu?
Analizzando sommariamente notiamo che è un piatto che capovolge il razionale uso degli ingredienti: riso e formaggio dolcificati.
Due alimenti che solitamente si accompagnano al salato ( specialmente nella cultura tradizionale ) vengono decontestualizzati e ri-formulati in una chiave diversa. Il formaggio è un alimento molto carico di significato, il mistero caseario perpetrato dai pastori, uomini particolari che ne custodiscono i segreti in un’aurea di confine tra selvaggio e civiltà, ha da sempre affascinato la simbologia.
Il riso, alimento parallelo alla pasta, per altro non è lasciato bianco ma si colora di zafferano, come se si condisse con un sugo…ovviamente una finzione ben articolata. Sembra proprio uno scherzo per chi si sente già in bocca il sapore di quel bel piatto! E la cannella? Non sembra forse simulare qualche parte più abbrustolita?
Perfino il metodo di cottura (sebbene con alcune varianti) sembra mescolare elementi normali ad alterità.
In realtà potrebbe nascondere significati vitalistici e di ri-fondazione dell’Ordine di cui il Carnevale è padre incontrastato.
Si distrugge un ordine preciso ( in questo caso alimentare e culinario) per essere sicuri che esso ritorni perfettamente uguale.
“Semel in anno licet insanire” ammoniva Seneca….e così in un tempo in cui è lecito prendere in giro ed eccedere con cibi, bevande e licenziosità ( la stessa personificazione di Carnevale ne morirà) , in cui fa capolino l’osceno e strizza l’occhio il mostruoso e il macabro, in un momento in cui gli esseri umani diventano maschere, gli uomini diventano donne, le voci si fanno falsetti, i poveri si vestono da ricchi, i moderni da antichi, i riti si dissacrano con la parodia ( matrimoni e funerali di carnevale)… Un primo piatto diventa dolce. Nel caos carnascialesco che tutto avvolge è permesso perfino questo. Se a Novara di Sicilia il maiorchino (un formaggio) diventa una ruota con cui giocare, la salsiccia un riferimento osceno o ad Ivrea l’arancia diventa un’arma da sprecare…. Il nostro riso si fa largo con potenza nella parte più intima della società : il focolare domestico. Non per le strade, non nelle sale in cui si balla… Ma perfino a tavola arriva la potenza stravolgente e rigenerativa del Carnevale…. Quella stessa tavola che segnerà la penitenza quaresimale con digiuni ed astinenze dalle carni.
Non credo sia un caso che u risu ntaanu si accompagni ( ormai forse è più un subalterno che un compagno, più dimenticato e meno amato, meno simbolo del paese e meno citato) alla regina dei dolci carnascialeschi castelbuonesi: a testa i turcu. Altro dolce dalla forte connotazione simbolico-rigenerativa… Fortemente rituale, con forti accenni al macabro e che non può che trovare posto nell’irriverente leggerezza del Carnevale.
Non rimane che augurare a tutti i mangiatori di risu ntaanu o testa i turcu ed a tutti i lettori…..UN BUON CARNEVALE!