Il razzismo è un’espressione della deviazione della cultura umana, che trae origine dalla convinzione che, chi ha delle caratteristiche fisiche o di provenienza geografica diversa, sia da considerare una minaccia a priori e che esista una differenza sostanziale tra gli uomini secondo delle categorizzazioni di razza. Il concetto di razzismo è ancora oggi molto sentito tra nutrite folle di gente, soprattutto se si ha una quoziente intellettivo o una scolarizzazione ridotti. Lo sport, e il calcio in particolare, potrebbe essere veicolo per divulgare un messaggio di uguaglianza e di rispetto dell’uomo a prescindere dal colore della pelle. Spesso lo è stato, se ricordiamo le campagne di giocatori come Henry ed Eto’o che hanno accompagnato a giocate da campioni, iniziative forti ed efficaci contro le manifestazioni razziste, che trovano spazio molto spesso sugli spalti tra i tifosi. A volte, però, anche giocatori ultra famosi e ultra pagati riescono a far vacillare questi messaggi positivi, con atteggiamenti che del tutto si discostano dall’impegno virtuoso di cui parlavano. E’ stato il caso, ad esempio, dell’attaccante del Liverpool Luis Suarez, il quale, durante la partita contro il Manchester United, ha ripetutamente insultato il terzino francese Patrice Evra, apostrofandolo “negro”. Lo ha fatto per ben sette volte. Per queste offese, la federazione calcistica inglese ha inflitto otto giornate di stop a Suarez, giustificando, in un rapporto di 115 pagine, la pesantezza della squalifica per l’importanza che riveste il match in questione, seguito da milioni di persone, e non ha accolto le giustificazioni del giocatore il quale si era difeso dicendo che nel suo paese, in Uruguay, dare del “negro” non costituisce un’offesa. La decisione della federazione è giusta e sacrosanta, perché appunto è l’esempio che conta, in questo caso l’esempio negativo, alla luce del fatto che tantissima gente possa aver assistito alla partita e potenzialmente aver osservato e ascoltato il fatto ingiurioso.
Oltre alla Monnalisa, al Louvre di Parigi, sono custodite altre preziosissime opere di Leonardo Da Vinci, tra cui il dipinto “Sant’Anna, la Madonna e il Bambino”. Questa opera è stata recentemente restaurata, affidandone la direzione alla restauratrice italiana Cinzia Pasquali. Proprio l’italianità della direttrice dei lavori avrebbe reso particolarmente suscettibili due membri della commissione internazionale, chiamati a supervisionare il restauro. Si tratta di due francesi, ovviamente, che hanno accusato di aver danneggiato il famoso “sfumato” utilizzato da Leonardo per passare dall’ombra alla luce, con interventi troppo invasivi. La dottoressa Pasquali, che ha alla e spalle 25 anni di esperienza con restauri di capolavori di grande caratura, si difende spiegando che si è intervenuto rimuovendo gli strati di vernice trasparente utilizzati periodicamente, con cadenza ventennale da circa trecento anni, per proteggere il dipinto, perché l’opacità della vernice andava a deturpare i colori naturali. Per farlo, si è utilizzato una tecnica innovativa che rimuove gli strati con una precisione a livello di micron, sapendo quanto spessore si va a rimuovere e quanto ancora ne rimane per arrivare al piano originale della tavola. La tecnica utilizzata dimostra che non si è mai arrivati fino al piano originale e che anzi, la rimozione degli strati eccessivi di vernice trasparente ha ridonato al dipinto i suoi colori naturali e ha reso più apprezzabile proprio tutti gli sfumati utilizzati da Leonardo. Insomma si tratterebbe di una polemica non giustificata da una motivazione tecnicamente valida, ma da una sciocca presa di posizione per attaccare la scelta dell’affidamento dei lavori ad un professionista italiano anziché un francese, per un dipinto del Louvre. Il nazionalismo protezionista molto caro ai cugini francesi, in questo caso, rasenta il ridicolo dimostrando quanto in realtà a loro poco importi che un lavoro così importante per la salvaguardia di un’opera di valore storico sia affidato al migliore professionista del settore, che si tratta, mi spiace per loro, di un’italiana.
La fede nuziale è la testimonianza dell’amore eterno promesso nel giorno del matrimonio. Perderla significa non solo smarrire un oggetto di elevato valore economico, ma anche e soprattutto rinunciare al simbolo dell’unione matrimoniale. Però può capitare. Ed è capitato anche ai coniugi svedesi Pahlsoon circa sedici anni fa nella loro attuale residenza di campagna. Per fortuna poi, qualche giorno fa, è avvenuto il fatto sorprendente del ritrovamento della fede addirittura incastrata sulla sommità di una carota cresciuta sull’orto di casa. Il marito ha riconosciuto subito l’anello nuziale smarrito ed ha annunciato con gioia la scoperta alla moglie. Evidentemente il gioiello era rimasto nella terra per tutto questo tempo fin quando, per un caso del tutto fortuito, si è ritrovato attorno ad una carota e a quel punto dissotterrare la fede è stato semplice.
Finisce qui il primo numero del 2012 di OltreFiumara. Buon anno a tutti.
?Oltre Fiumara ? Rubrica settimanale che apre uno spiraglio tra le cinta murarie del borgo, per far passare qualche notizia fuori dal comune.?