Per completezza d’informazione, ci sembra doveroso tornare sulla vicenda della condanna del concittadino Gioacchino Genchi. Il 24 settembre abbiamo dato la spiacevole notizia della condanna di Genchi, insieme al sindaco De Magistris, mentre l’8 ottobre – riportando nuovamente la redazione di Napoli de La Repubblica – abbiamo dato spazio alle motivazioni della sentenza. Parimenti, oggi ci sembra doveroso provare a fornire qualche elemento utile, e qualche fonte per approfondire, circa le ragioni della difesa.
Partiamo dall’inizio. La lunga e dolorosa vicenda risale al 2006, in cui il Commissario Gioacchino Genchi e l’allora Pm di Catanzaro Luigi De Magistris sono coinvolti nell’inchiesta denominata “Why not”, perché accusati di aver illecitamente acquisito i tabulati telefonici di alcuni parlamentari senza la richiesta preventiva alla Camera. I tabulati dei parlamentari, acquisiti “irregolarmente”, sarebbero quelli di Romano Prodi, Francesco Rutelli, Domenico Minniti, Antonio Gentile, Giancarlo Pittelli e Clemente Mastella.
“Una violazione comune e consapevole delle disposizioni di legge“, secondo il Tribunale di Roma nelle motivazioni alla sentenza che aggiunge “perseguito pervicacemente l’obiettivo immediato e finale di realizzare la conoscibilità dei dati di traffico dei parlamentari non chiedendo l’autorizzazione alla camera di appartenenza pur di acquisire con urgenza i tabulati”.
“L’obiettivo degli imputati – scrivono i giudici – non era quello investigativo, ma, disattendendo le norme, era quello di conoscere il traffico dei parlamentari tramite l’acquisizione di tabulati: attività illecita perché dolosamente inosservante della legge Boato“. Insomma, il metodo, secondo il collegio giudicante, era quello di procedere senza rispettare le garanzie previste per le cariche parlamentari, per poi sanare le eventuali violazioni emerse “con una ratifica successiva rinviabile ad oltranza“.
Noi di Castelbuono.Org non abbiamo gli elementi, né le competenze, per affrontare una materia così complessa e articolata. Ma provando a divincolarci tra le migliaia di pagine della memoria difensiva di Genchi, sperando di far cosa utile ai lettori ci sembra utile condividere almeno le conclusioni depositate dai legali di Genchi in cui, oltre ad entrare nel merito delle accuse, si ripropone un passaggio che ci sentiamo di condividere. Quello in cui, nonostante “un calvario giudiziario di oltre sette anni, con decine e decine di procedimenti penali iscritti a suo carico, dei quali si è solo fatto cenno di alcuni in questo processo, compresa la sospensione e la successiva destituzione dall’impiego dalla Polizia di Stato, dopo oltre 25 anni di eccellente servizio“, […] “tutti i predetti provvedimenti cautelari, disciplinari e diffida sono stati tutti annullati con la sentenza del TAR di Palermo n. 2025/2014 del 24-07-2014, in quanto ritenuti illegittimi e gravemente ritorsivi “.
Una sentenza che, nel luglio di quest’anno, non si esimeva dall’affermare che “si palesa nel nuovo provvedimento sanzionatorio addirittura un intento persecutorio nei confronti del ricorrente“. Questa recente rilettura dell’intero calvario qualche pregiudizio, in noi, lo instilla.
Siamo certi che Gioacchino Genchi era, è e resterà uno dei castelbuonesi di cui la comunità continuerà ad andare fiera. Per il suo grande contributo al contrasto della criminalità organizzata, per il ruolo decisivo nella rilettura di tante pagine oscure della nostra storia. Così Gioacchino nel 2009: “In Why Not avevo trovato le stesse persone su cui indagavo per la strage di via D’Amelio. L’unica indagine della mia vita che non fu possibile finire.”
Ci auguriamo solo, da castelbuonesi e da cittadini che hanno fiducia nella Giustizia, che – come ha affermato Salvatore Borsellino – Gioacchino stia pagando per Why not e non per “cose più grandi”.